Incontro con le piante officinali nel ritmo delle stagioni
Una pianta primordiale nei nostri campi: l’equiseto
“Coda cavallina”, “erba rugna”, “rasperella”: così viene anche chiamato l’equiseto dalla tradizione. Cresce lungo strade e sentieri, tra i binari della ferrovia, nei vigneti e nei campi. Appartiene alle pteridofite ed è una della piante più antiche al mondo. 400 milioni di anni fa equiseti giganteschi popolavano la terra ed erano alti come alberi, insieme a felci enormi e muschi. I resti di queste piante formarono i giacimenti di carbone fossile nel sottosuolo.
Oggi la famiglia delle Equisetaceae comprende un solo genere (Equisetum) con circa 35 specie. 15 specie sono diffuse in Europa. Le più note sono l’equiseto arvense, l’equiseto palustre, l’equiseto silvestre, l’equiseto maggiore e l’equiseto pratense. A parte l’equiseto arvense, quasi tutte le altre specie non sono adatte all’uso interno perché tossiche. Contengono alcaloidi in diverse quantità, ad esempio tracce di nicotina e, soprattutto, palustrina, un veleno che agisce sui nervi e la muscolatura e provoca avvelenamenti anche gravi negli animali domestici.
Il nome “Equisetum” deriva dal latino e significa “crine di cavallo” e “arvense” indica i luoghi in cui è più diffuso: nei campi coltivati o incolti. In primavera compare il fusto fertile che per la forma e il colore pallido brunastro assomiglia a un fungo. Nella parte apicale (strobilo) porta le spore in appositi sporangi che si aprono nelle prime giornate miti di primavera. Ora si forma anche il fusto sterile, partendo sempre dalla stessa pianta. Non supera i 60-70 cm di altezza e presenta rametti laterali posti in verticilli che diventano sempre più corti verso l’apice della pianta. L’equiseto arvense si distingue anche per la sua forma che ricorda una piccola conifera, piramidale. Diversamente da altre specie, i rametti laterali dell’arvense sono perfettamente orizzontali o si dirigono leggermente verso l’alto. Invece, nell’equiseto pratense – il quale ricorda molto l’arvense nella forma – i rametti pendono verso il basso.
Il portamento dell’equiseto arvense appare dunque molto eretto. Nonostante la parte aerea della pianta sia internamente cava e quindi molto leggera, i fusti non si spezzano facilmente. E’ interessante notare che gli equiseti non formano lignina nei fusti (quindi non diventano mai legnosi) ma sali di silicio come sostanze di sostegno. L’equiseto rappresenta un vero“cristallo di rocca vegetale”! L’equiseto contiene fino al 15% di silicio, minerale che conferisce una consistenza vitrea alle verdi “code” di equiseto. Sfregando i rametti laterali si nota la loro fragilità. Un tempo venivano legati a mazzetti per pulire oggetti di metallo, ad esempio di argento o di stagno. Per questo, in tedesco l’equiseto viene chiamato anche “Zinnkraut”, erba stagno.
L’equiseto arvense si moltiplica attraverso le spore (in verità, ha un ciclo ontogenetico molto complesso che comprende la formazione di organi intermedi: meriterebbero uno studio a sé!) ma anche formando nuovi fusti dalle gemme sotterranee. Grazie all’apparato radicale molto esteso le piante si diffondono copiosamente in un territorio e ciò le rende poco gradite agli agricoltori. L’equiseto è una “pianta indice” e segnala che un terreno è troppo compatto, non contiene abbastanza humus o presenta ristagni di acqua. Tutte le specie di equiseto hanno bisogno di acqua nel suolo e quando le radici incontrano una vena sotterranea continuano la crescita in senso orizzontale prima di tornare nuovamente verso il basso.*
A fine estate le piante iniziano ad appassire e nella stagione fredda si vedono solo i fusti ormai secchi delle specie più grandi, ad esempio di Equisetum palustre o telmateja. La loro vita continua sotto terra, dove i rizomi hanno dei tuberi di riserva che consentono alle piante di germogliare subito dopo la fine dell’inverno.
Prima di raccogliere è meglio distinguere!
L’equiseto arvense è quasi privo di sapore e odore e non viene quasi usato crudo, ad eccezione dei giovanissimi fusti verdi che, secondo alcuni appassionati di fitoalimurgia, possono essere aggiunti alle insalate primaverili. Si preparano il decotto, l’estratto secco, la tintura e l’oleolito. La droga è costituita dalla parte aerea (“Equiseti herba), dai fusti con i rametti laterali. Si raccoglie da aprile a agosto, si essicca all’ombra e si sminuzza per ottenere la droga. L’erba essiccata proviene in gran parte dalla Cina da raccolta spontanea, oppure dai paesi dell’Europa centrale e orientale. Non è necessario coltivare l’equiseto poiché in certe zone forma delle vere e proprie distese spontanee.
Per distinguere l’arvense da altre specie bisogna osservare attentamente il fusto sterile estivo e la guaina che avvolge il fusto in prossimità degli internodi: nell’arvense si presenta finemente incisa da 6 a 12 denti e più corta del primo internodo dei rami.
L’arvense predilige luoghi asciutti in superficie, un terreno argilloso, mentre il palustre indica sempre corsi d’acqua, acquitrini e cresce sui bordi dei campi o dei boschi dove ristagna l’acqua.
L’equiseto arvense come pianta medicinale
Dell’equiseto troviamo descrizioni molto antiche, Plinio il Vecchio e anche Dioscoride lo menzionano come pianta diuretica ed emostatica. Dopo l’antichità viene dimenticato e “riscoperto” dopo il medioevo dalla medicina monastica. Padre Kneipp, l’abate fondatore dell’idroterapia in Germania, consiglia l’equiseto per i polmoni, la gotta, la cistite.
Oggi è considerato una pianta medicinale anche dalla scienza, viene descritto in una monografia della Commissione E (ente di ricerca sulle piante medicinali del Ministero della Sanità tedesco). In fitoterapia si usano diversi estratti e applicazioni esterne. L’omeopatia classica si avvale sia di equisetem arvense, sia di e.hyemale, nella medicina antroposofica l’arvense viene abbinato alla silice o allo zolfo per curare edemi, malattie dei reni, artrosi e artriti, affezioni alla vescica e alla prostata.
Per comprendere meglio l’azione terapeutica si possono approfondire due aspetti caratteristici della pianta: uno è il legame con l’elemento dell’acqua ma anche della luce e dell’aria, l’altro è l’elevato contenuto di silicio e di minerali nella parte verde, come espressione del legame con l’elemento terrestre.
Volgiamo lo sguardo al nesso con l’elemento dell’acqua: per la riproduzione gli equiseti hanno bisogno dell’acqua: una fase del ciclo ontogenetico avviene nell’acqua come nel caso delle alghe, mentre le piante adulte captano l’acqua con i rizomi portandola verso l’alto e indicando spesso un ristagno. Allo stesso modo, l’equiseto agisce sull’uomo nella sfera dei liquidi: stimola la diuresi, sostiene la funzione renale, allevia disturbi della vescica e della prostata, aiuta a drenare gli edemi, i ristagni di acqua dei tessuti. L’equiseto può essere usato quotidianamente come decotto, anche nella prevenzione. Alla sera si mettono a macerare 5 g di droga in 1 litro di acqua fredda. Alla mattina si porta ad ebollizione e si lascia sobbollire per 20 minuti. Si filtra e si bevono 3 tazze al giorno, eventualmente dolcificando con del buon miele. Il decotto di equiseto è un ottimo diuretico e può essere bevuto per lunghi periodi.
Allo stesso tempo l’equiseto è, come abbiamo visto, una “pianta della silice”. Trasmette cura e protezione agli organi che ne hanno più bisogno: pelle, capelli, unghie, tessuto connettivo, vasi sanguigni. L’equiseto conferisce all’uomo una seconda pelle. In caso di eczemi, ulcere ed eritemi, nell’ulcus cruris, nella psoriasi e nelle dermatiti di origini nervose si consiglia l’assunzione del decotto come anche applicazioni esterne sotto forma di spugnature, bagni ed impacchi.
E’ possibile estrarre le proprietà dell’equiseto mettendolo a macerare in olio di oliva; si ottiene un oleolito che da sollievo alle gambe doloranti e previene le vene varicose.
Grazie all’azione di sostegno e antiinfiammatoria su tutto il tessuto connettivo l’equiseto viene utilizzato con successo nelle infiammazioni articolari, i dolori reumatici, artrosi e artrite.
Oltre al silicio, l’equiseto arvense contiene sali di potassio e calcio, tracce di alluminio, zolfo, saponine, flavonoidi e acidi organici. Parlando dell’equiseto, tuttavia, Rudolf Steiner sottolinea quanto sia importante non fermarsi all’analisi delle singole sostanze ma di osservare la pianta nel suo insieme ed approfondire la ricerca sui processi che portano alle sostanze.
Certamente, all’osservatore risulta difficile, se non impossibile, cogliere a cosa serve una pianta se parte da un’indagine puramente visiva (rischia di “vagare” con la fantasia). Dedicandosi all’equiseto nel corso dell’anno, tuttavia, attraverso un’osservazione fenomenologica della pianta e del suo ambiente e all’utilizzo come pianta medicinale e in agricoltura, si può giungere all’immagine interiore di una pianta che si distingue, per esempio, per l’elasticità, l’aggraziato equilibrio tra orizzontalità e verticalità, l’elegante superamento delle forze di gravità. Sono queste qualità che caratterizzano anche l’organismo umano quando è in salute e le forze di terra e acqua da un lato e le forze di luce ed aria possono intessersi armoniosamente.
L’equiseto arvense in agricoltura
Nel ciclo di conferenze “Impulsi scientifico spirituali per il progresso dell’agricoltura” Rudolf Steiner descrive la fine azione dell’equiseto arvense che aiuta a “fare sì che la terra non risenta delle forze lunari in eccesso”. Nomina l’equiseto nella sesta conferenza del libro, purtroppo senza entrare in dettagli riguardo alla suddetta azione. Oggi l’equiseto è ampiamente utilizzato in agricoltura biodinamica (anche altri metodi agricoli bio lo impiegano) e si parla del “Preparato 508” che consiste in un decotto da irrorare sulle piantagioni. Si interviene con il decotto quando le forze di acqua (es.: ristagno di acqua nel terreno, precipitazioni piovose abbondanti, clima eccessivamente umido senza sole) non sono in equilibrio e, allo stesso tempo, l’elemento terrestre è debole (es.: terreno con poco humus, poco strutturato, concimazioni sbagliate). Allora il terreno e le piantagioni accolgono eccessivamente le forze lunari e possono insorgere malattie fungine, afidi, marciumi. I frutti, gli ortaggi, le erbe non solo possono ammalarsi ma non sviluppano il giusto aroma e si conservano poco.
Per il decotto di equiseto si usa equiseto arvense fresco o essiccato. Alcuni agricoltori biodinamici dinamizzano il preparato per 20 minuti prima di irrorarlo.
“Preparato 508” – Decotto di equiseto
Mettere a macerare 1 kg di equiseto fresco (o 150 g di droga essiccata) in 10 l di acqua fredda. Dopo 24 ore portare ad ebollizione e sobbollire per mezz’ora. Aspettare che il decotto si raffreddi, filtrare. Per irrorarlo si diluisce nel rapporto 1:5 e si spruzza in giornate asciutte, di mattina. Il decotto ha un’azione preventiva contro le malattie fungine e i marciumi. Si consiglia di usare il decotto dalla primavera all’estate (nel periodo più umido) effettuando irrorazioni a cadenza regolare. In caso di un attacco fungino si ripete il trattamento per tre giorni di seguito, eventualmente mescolando con del macerato di ortica e aggiungendo della propoli e dell’olio essenziale di timo.
Karin Mecozzi
Erborista, Esperta qual. di fitoterapia
www.petrarca.info
- Uno studio approfondito sull’equiseto è stato eseguito da Jochen Bockemühl e i colleghi della Sezione di Scienze Naturali della Libera Università del Goetheanum; è riportato nel libro “Leitfaden zur Heilpflanzenkunde “, Verlag am Goetheanum.
- l’articolo è comparso nel Notiziario dell’Ass. biodinamica nel 2011